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Direttore Antonio Esposito

Quanti ricordi, quante cose non dette, quanti abbracci mancati - Con "Arturo" al Teatro Mulino Pacifico per parlare col padre
 

sab 20-01-2024 22:31 n.409, a.e.

Quanti ricordi, quante cose non dette, quanti abbracci mancati

Con "Arturo" al Teatro Mulino Pacifico per parlare col padre


Quante cose non dette, quante domande rimaste senza risposte, quanti abbracci e baci non dati. Perché nostro padre era pensoso e introverso, perché è andato via troppo presto, perché non c’era il giusto dialogo. Quante belle chiacchierate e risate insieme. Quanti ricordi affiorano nella memoria, ripensando al tempo passato con nostro padre. Un mare di immagini e atmosfere, che riviviamo con “Arturo”, spettacolo andato in scena al Mulino Pacifico, grazie alla creatività di Laura Nardinocchi e Niccolò Matcovich.

I due attori snocciolano una carrellata di momenti belli e dolorosi, pescandoli dalla loro autobiografia, dialogando col pubblico e invitandolo a svelarsi, scrivendo su piccoli foglietti bianchi, parlando liberamente del rapporto col padre. Come tanti messaggi in bottiglia spediti per comunicare ancora con chi non c’è più. Come una confessione collettiva, per riprendere il filo interrotto. Così veniamo a sapere che Laura è figlia di Riccardo, morto a 49 anni, e che il padre di Niccolò, Giancarlo, è andato via a 66 anni.

Lo spettacolo è come un work in progress. Gli spettatori consegnano i pensieri scritti su una lavagnetta nera, che poi vanno a comporre il puzzle sul palcoscenico, altri leggono ad alta voce le loro riflessioni. C’è chi ricorda il padre girovago e sorridente,  chi la passione e la tenacia che gli ha lasciato, chi la guerra di Russia e si commuove, perché il genitore che vi partecipò, non gliene parlò mai. Qualcuno si rammarica di non potergli comunicare più le proprie idee, i progetti, i sogni e le preoccupazioni.

La scintilla che fa scattare i ricordi è Arturo, la prima stella che si accende al tramonto. Il racconto di Laura e Niccolò nasce da in un incontro in ristorante della Puglia. “Mio padre -dice lei- amava affrontare tutti i percoli, mentre io sono una grandissima fifona”. “Quando suonava il pianoforte -osserva lui- il tempo si fermava”. Le parole si rincorrono fresche e leggere, colorando il dolore di nostalgia, confluendo alla fine in un quadro di tenera bellezza, con i volti dei padri disegnati dai due attori sul palcoscenico.



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