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Il cantastorie Capossela tra streghe e "staffette in bicicletta" - "Donne partigiane, insegnateci come fermare le guerre"
 

sab 16-03-2024 18:42 n.434, a.e.

Il cantastorie Capossela tra streghe e "staffette in bicicletta"

"Donne partigiane, insegnateci come fermare le guerre"


Storie di radici che prendono il volo e parlano al mondo. Racconti d’amore e resistenza. Il cantastorie Vinicio Capossela parte dalle streghe e dal magico noce di Benevento, nel concerto tenuto nell’Auditorium di Sant’Agostino per la stagione artistica ideata dall’Accademia di Santa Sofia con l’Università e il Conservatorio. Con lui il violinista beneventano Raffaele Tiseo, che da qualche anno lo accompagna nei tour. Il viaggio porta il suggestivo titolo “Tra Maleventum e Beneventum”.

“Questa vostra terra -esordisce- è ricca di leggende affascinanti, di misteri, popolati da janare e zoccolare. Come quella delle streghe che ballano il Sabba sotto il noce”. La sua musica ci porta subito nelle antiche tradizioni popolari. Si canta “La Notte di San Giovanni”. Si parla di lupi mannari e di altre metamorfosi, favorite dai raggi della luna. Il cantautore di origini irpine riprende un testo di Matteo Salvatore, lascia la chitarra e si siede al pianoforte, per incamminarsi sulle tracce di Ludovico Ariosto.

“Il poeta emiliano -spiega- immagina che ci sia una discarica lunare, dove si raccolgono tutte le cose umane, dal senno alla fantasia. Mentre la follia è rimasta tutta sulla terra”. Questa visione del mondo è racchiusa nella canzone “Ariosto Governatore”. La musica si scioglie tra le “onde” della notte,  “più bella da soli”, che regala estasi agli amanti. Approda “Nella pioggia”, Capossela si copre con l’ombrello ed invita il folto pubblico a schioccare le dita, per riprodurre il suo rumore. Brio alle stelle sulle note di “Marajà”, con la gente in piedi, che balla battendo le mani.

Dalle streghe alle fate alle sirene. C’è “Camera a sud” col mito di Ulisse. Il cantante comincia e chiude col fischio. I suoi versi ricreano atmosfere fantasmagoriche, con “la luce che trema nella sera”, “la sedia che dondola da sola”. Sono momenti di incanto e di incantesimo. I racconti irpini e sanniti diventano universali. Con le parole di Capossela ritrovano il significato ancestrale di conforto per l’uomo. Una missione che svolgono ancora di più i Canti popolari di Calitri, il paese dei suoi genitori.

C’è la bella che va a prendere l’acqua alla fonte e vuole fare l’amore con l’amante, c’è l’omaggio all’energia femminile, alla forza della natura, ai balli contadini, all’armonia dell’incontro. Come avveniva una volta a Benevento, dove l’Oriente e l’Occidente convivevano in pace. “Nel 117 d.C. -evidenzia Aglaia Mc Clintock, docente Unisannio, prima del concerto- ai tempi di Traiano, la nostra era una città carovaniera, cosmopolita, strategica, l’impero romano raggiunse la sua massima estensione”.

Il cantautore si è soffermato sulla storia, cantando "Staffette in bicicletta”, dedicato alle donne partigiane, tratto dall’album “Tredici canzoni urgenti”. “Voi che passate il testimone, perché arrivi fino a noi, voi madri, figlie, sorelle, compagne dell’umanità, insegnateci come fermare le guerre”. “Fascismo e Resistenza- conclude Capossela- non sono fenomeni museali, ma forze vive che operano nella società e negli individui. Lo stesso Mussolini disse: “Il fascismo non l’ho inventato io, ma l’ho estratto dall’inconscio degli italiani”. Per questo bisogna agire sulla coscienza e sulla consapevolezza”.



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